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Italia
Si sa, la squadra paesana plasma l’immaginario di una città, e nondimeno è in fondo lo specchio della sua gente. Così gli inizi dell’età aurea del calcio vicentino, quelli che molti definirebbero gli anni migliori della sua storia, sono legati a un nome che si intreccia indissolubilmente al tessuto della provincia: quello di Pietro Maltauro. È innanzitutto il primogenito di Giuseppe, un “capomastro vestito a festa”, come amava definirsi, che ancora nel 1921 a Recoaro aveva dato avvio a quell’impresa edile di famiglia che Pietro avrebbe poi ereditato col fratello Adone, spostandosi a Vicenza nel Dopoguerra. Uomo di bella presenza, “Piero” – perché è così che lo chiamano in famiglia – si laurea in Ingegneria, e ha un tono più intellettuale di Adone, che dei due è forse il vero capitano d’industria, con uno spirito spregiudicato e un grande fiuto per gli affari.
SINDACO E RECOARO Nel 1957, dopo essere stato per un decennio il sindaco di Recoaro, sale ai vertici del neonato L.R.Vicenza, ed è proprio la sua gestione a tracciare l’indirizzo di un modello unico nel panorama calcistico italiano. Quello di Maltauro è un settennio in cui regna l’organizzazione, i bilanci sono in attivo e nell’azienda sportiva si respira un grande clima familiare, senza mancare di essere competitivi, spettacolari in campo ed eleganti fuori, il più che è possibile. Si racconta infatti di come fosse sua abitudine inviare dei mazzi di fiori alle mamme dei giocatori, mentre in occasione delle cene societarie Pietro si scontra spesso con la propria incapacità di ballare. Alla fine delle portate, quando nell’aria comincia a suonare della buona musica e al presidente spetterebbe l’onore di aprire le danze, egli accampa qualsiasi scusa buona per svignarsela, fingendo di correre al gabinetto. Alla guida del Lanerossi, invece, pare sicuramente più a suo agio che non in pista. A partire dalla valorizzazione del settore giovanile, capace di produrre giocatori di spessore tecnico come Mario David, primo biancorosso a vestire la maglia azzurra, Sergio Campana, Luigi Menti, senza contare i vari Burelli, Cappellaro e Zoppelletto. Sono gli anni in cui a calcare il Menti ci sono Luison, Savoini e Vinicio, che smarca la squadra berica da precarie posizioni di classifica e la lancia a suon di reti verso il vertice; mentre in panchina preparano il loro innalzamento agli altari del calcio il trentatreenne Roberto Lerici, che vincerà il “Seminatore d’oro” nel 1961 (una vera scommessa voluta e vinta da Maltauro), e Manlio Scopigno, che qualche anno dopo porterà il Cagliari allo scudetto.
UN POLO REGIONALE La prospettiva di Pietro alla testa della società è a suo modo visionaria, e non solo per i risultati della rosa. L’idea di fondo è quella di creare a Vicenza un polo sportivo d’attrazione regionale, capace di competere con i grandi team di Torino e Milano. La scelta, allora, è quella di attingere al territorio per creare una squadra in cui i tifosi si identifichino, e per molte stagioni il LRVI è una delle poche compagini di Serie A a schierare in campo quasi solo calciatori italiani, e perlopiù veneti. E così dalle gradinate dello stadio i vicentini vengono frequentemente inneggiati al grido di «Italia! Italia!», come se ne fossero la massima espressione, in tornei in cui la tendenza è invece già quella di pescare all’estero numerosi atleti. La gestione Maltauro è evidentemente ambiziosa, ma oculata. In società coinvolge personaggi di rilievo della classe dirigente cittadina, come Lampertico, Pisoni, Valmarana, vantando buoni rapporti anche con Mariano Rumor. Non si eccede con i proclami, non si fanno follie per gli stipendi, che tuttavia arrivano sicuri e senza ritardi. Lo spirito con cui si conduce il Lane, è un po’ quello con cui le aziende del nostro territorio spiccano il volo negli anni del boom: umiltà provinciale, visione a lungo termine, radicamento locale, in una squadra che parla più dialetto che italiano e che però difende tanto bene l’onore della maglia, da diventare presto una mina vagante, capace di collezionare numerose teste dei giganti dello sport nazionale. Nell’estate del 1963, però, il nucleo dirigente del club va incontro ad una spaccatura: Maltauro, in nome dei conti da tenere in ordine, spinge per le cessioni pregiate di Panzanato e Puia, compensate però da pedine che non sembrano all’altezza. Nel consiglio d’amministrazione serpeggia un certo malcontento, che a novembre porta l’ingegnere a rassegnare le dimissioni per via di polemiche e attriti eccessivi, soprattutto a fronte degli ottimi risultati sportivi. Dopo ben sette anni Maltauro lascia la poltrona presidenziale, ma senza clamori, con il suo stile pacato e distinto, sostituito dal senatore della DC Delio Giacometti: ad un uomo dalla postura imprenditoriale, ne segue dunque uno dallo spirito più propriamente politico. Saranno ancora anni sfavillanti, in cui si raccoglieranno i frutti di quanto seminato da Pietro, da buon figlio di un capomastro, non poteva essere altrimenti.